Gino Bartali – La leggenda dell’uomo giusto e del campione

credit immagine: Ciclismo Italia.

Gino Bartali. Non servirebbe aggiungere altro perché da solo questo nome racchiude coraggio, sacrificio, dedizione, leggenda. Oggi Gino avrebbe compiuto gli anni, ed è doveroso ricordarlo, perché di persone così, al mondo, ne nascono veramente poche.

Gli albori

Gino nasce a Ponte a Ema, piccolo comune del toscano vicino Firenze, figlio di Torello, contadino. Ma la campagna non fa per lui, e la prima passione è, da subito, il ciclismo. Nascere nell’Italia del 1914, il 18 luglio (10 giorni prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale) non è affatto facile. Un anno dopo saremmo entrati in guerra, e gli stenti della barbarie a cui il mondo si preparava si faranno sentire per gli anni a venire. Bartali, dunque, deve darsi da fare per vivere. Inizia facendo il meccanico, ma le sue gambe sono troppo esplosive per rimanere giornate intere inginocchiate sotto il peso del lavoro. La bicicletta gli dà la possibilità di emergere, anche perché Gino va forte, più forte di tutti. Negli anni ’30 dunque entra a far parte della società “Aquila Divertente”, con la quale, nel ’34, vince da dilettante la sua prima corsa, la “Coppa Bologna”. Bartali inizia così a farsi un nome e, un anno dopo, si iscrive alla Milano – Sanremo come indipendente, senza squadra. Nessuno teme questo verace 21enne toscano, detto “Ginettaccio”, specie perché non ha nessun gregario pronto a dare battaglia per lui. Ma le gambe di Gino non hanno bisogno di nessun aiuto: si ritrova primo, con un buon margine su Learco Guerra, all’epoca il corridore più famoso d’Italia. La sfortuna però lo colpisce con un guasto tecnico, e termina quarto in volata anche a causa dell’ostacolo rappresentato dal direttore della Gazzetta dello Sport Colombo, che lo costringe per errore a rallentare. Ma la sensazione che una possibile stella sia nata è forte. E Gino saprà confermarla.

Un gigante al tuo servizio

Nel mondo anglosassone si usa un’espressione quando due grandi si mettono l’uno al servizio dell’altro: greatness recognizes greatness. E così quel Learco Guerra che tutto aveva vinto, impressionato da quella Milano – Sanremo, fa ingaggiare alla sua squadra Bartali, e si mette a sua disposizione come gregario per fare vincere la Corsa Rosa al giovane Gino. Quel Giro è un trionfo per Ginettaccio, che si porta a casa anche 3 tappe, e sembra lanciarlo a una carriera ricca di successi. Ma talvolta la sfortuna ti colpisce quando ti senti invincibile. Il fratello di Bartali, Giulio, anch’egli ciclista ma ancora dilettante, muore durante una corsa investito da un’auto. È una botta forte da assorbire per Gino, che medita, a soli 22 anni e ad appena una settimana da uno dei giorni più belli della sua vita, di lasciare il ciclismo. Ma la storia deve ancora essere scritta. Bartali riprende a pedalare, e chiude la stagione vincendo il giro di Lombardia. Il cammino verso la leggenda può continuare.

La consacrazione e Mussolini

Bartali diventa uno dei ciclisti più importanti del panorama internazionale. Nel ’37 bissa il successo dell’anno precedente al Giro. Ma i confini italici cominciano a stargli stretti. Viene nominato capitano della selezione italiana che si appresta a partecipare alla corse delle corse: il Tour de France . La corsa gialla è stata vinta solo da un altro italiano in passato, Ottavio Bottecchio, che nel ’24 e nel ’25 aveva conquistato Parigi. Gino è pronto a raccogliere il suo testimone. Ma non è quello l’anno giusto per lui. Patisce una brutta caduta proprio mentre veste di giallo e sembra destinato al successo, e siccome la legge di Murphy è sempre in agguato, un’acuta bronchite lo costringe al definitivo ritiro. Così, l’anno dopo, Bartali sceglie di dedicarsi al Giro, ma non ha fatto i conti col regime. Mussolini vuole il successo in Francia, perché lo sport meglio della guerra riesce a conquistare i cuori delle persone, e Gino è costretto a preparare il Tour. Bartali non ama Mussolini, ma giunge in terra transalpina, dove, senza la sfortuna dell’anno precedente, trionfa. È il ’38, e mentre i calciatori della Nazionale, vinto il mondiale, omaggiano il Duce, Ginettaccio non solo si rifiuta di fare il saluto romano, ma porterà i fiori datigli per il successo in chiesa invece che a Palazzo Venezia. Un gesto rivoluzionario in un’epoca in cui non essere fascista è pericoloso. Ma la strada di Bartali incrocerà nuovamente quella del dittatore, e non per sua volontà.

La guerra e un grande avversario

È il 1940, e Bartali si prepara per l’assalto al suo terzo Giro. In squadra, voluto da lui, è entrato un esile alessandrino, tale Fausto Coppi, che si mette subito al servizio del suo capitano, che però durante una tappa cade e si attarda. La squadra così decide di puntare su Coppi, meglio piazzato in classifica, e Gino, come aveva fatto Guerra con lui, si mette a disposizione del giovane compagno. E con la forza di chi già è campione, durante una salita in cui Fausto era pronto a mollare, lo incita come solo un toscanaccio sa fare: a male parole. Coppi si riprende e vincerà il Giro il 9 giugno del ’40. Il giorno dopo l’Italia entrerà in guerra. Come fare a sopravvivere adesso che non si può più correre? Gino, all’apice della carriera, si ricicla tornando a fare ciò che faceva da giovane, il meccanico. Ma, uomo di profonde credenze religiose, non può rimanere indifferente al dramma della persecuzione degli ebrei, e, ascoltato l’appello dell’arcivescovo di Firenze, inizia a collaborare per salvarli. Un lavoro molto pericoloso che Ginettaccio svolge con estremo coraggio. Nasconde documenti falsi nelle biciclette e li consegna di volta in volta a chi ne ha bisogno, e se è il caso traina anche persone in vani nascosti, sfruttando la sua popolarità che lo rende insospettabile. Per questo straordinario contributo verrà nominato Giusto tra le Nazioni, e nessuno più di lui merita questo titolo.

Di nuovo in pista

Fortunatamente tutto ha un inizio e una fine, anche la guerra. L’odiato fascismo è alle spalle, e Gino Bartali ritorna a fare ciò che lo ha reso grande: correre. Molti lo danno per finito a 31 anni, complice anche quel suo gregario di 5 anni più giovane, lo stesso a cui aveva urlato di essere un acquaiolo per spronarlo, che è considerato l’astro nascente del ciclismo. Bartali però è una macchina: vince il Giro del ’46, con appena 47’’ di vantaggio proprio su Coppi. Un anno dopo arriva anche il tanto agognato successo alla Milano – Sanremo, ma è il ’48 l’anno da ricordare. Gino ha 34 anni, e la selezione italiana giunge al da poco riorganizzato Tour con una squadra non certo in grado di vincere. Le difficoltà sono molte. Bartali si ritrova a un certo punto staccato di 21 minuti dalla testa della classifica. Contemporaneamente, in Italia, la tensione si taglia col coltello dopo l’attentato a Togliatti che rischia di far sprofondare un paese già in macerie nella guerra civile. Fino all’arrivo di una telefonata che cambia la storia.

La leggenda di Gino Bartali

“Pronto, sono Alcide”. Dev’essere andata più o meno così. E quell’Alcide che disturbava al telefono era De Gasperi, che chiedeva a Gino Bartali di tentare l’impresa, di recuperare quei 21 minuti e, con essi, il morale degli italiani. Comincia così una rimonta furiosa, fatta di vittorie ancora oggi leggendarie e coronata col secondo successo in Francia, a distanza di 10 anni dal primo, e con un distacco da record sul secondo. È l’apice di una carriera che sembrava ormai terminata. Quell’anno, in verità, si conclude con un deludente mondiale nel quale lui e il rivale Coppi, strafavoriti, si controllano per tutta la gara restando, entrambi, a bocca asciutta. Ah la rivalità con Coppi… forse si odiavano, forse no, sicuramente si rispettavano tantissimo e la loro contrapposizione venne sfruttata a fini politici. Come dimenticare l’iconica immagine di Gino che passa a Fausto la borraccia sull’Alpe d’Huez? Purtroppo fra i due, amici fuori dalla strada, si mise una maledetta zanzara, che uccise Coppi. Ma i due erano ormai immortali, e nulla poteva cancellare il loro nome dalla storia. Come disse Vittorio Pozzo, al seguito di Bartali durante quello straordinario Tour del ’48, “Gino, sei immortale!”

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