Vite incrociate: Matthias Sindelar, Stefan Zweig. Due uomini nella tempesta

credit immagine: Storie di Calcio, lebstock – The New York Times, Goldfinger .

Se si pensa alla Bella Epoque, solo una città può venirti in mente: Vienna. Cosmopolita, intellettuale, decenni avanti ad ogni altra città. La capitale asburgica è, in quegli anni, il centro culturale d’Europa. Il centro del mondo. È qui che si intrecciano le storie, così singolari eppure così simili, dei protagonisti della nostra storia. Stefan Zweig. Scrittore, intellettuale, poeta e pensatore tra i più illuminati del XX secolo. E Matthias Sindelar, fenomeno del pallone, autentico talento del gioco del calcio e calciatore tra i più forti del suo tempo. È nell’Austria dell’imperatore Francesco Giuseppe che si infiammano, bruciando, le vite di due personaggi tanto unici.

Ich Bin Ein Osterreicher

Matthias Sindelar nasce a Kozlov, oggi in Repubblica Ceca ma all’epoca parte dell’Impero Asburgico, il 10 febbraio del 1903. La sua famiglia, di origine ebraica, molto povera e composta da umili operai. Sarà costretta ben presto a trasferirsi dal paesino di provincia della Moravia per stabilirsi nella capitale, a Vienna, in cerca di fortuna. È il 1906, e nel fervente ambiente intellettuale viennese, spicca un giovane rampante, anch’egli di origine ebraica, ma con un background familiare totalmente diverso. Stefan Zweig, da poco laureato in filosofia all’Università di Berlino con una tesi sul filosofo Hippolyte Taine, massimo esponente del naturalismo francese. Ritornato a casa dopo gli studi in Germania, il giovane Zweig si intrattiene nei caffè letterari in compagnia delle menti più raffinate del suo tempo. Tra cui Georges Duhamel ed Hermann Hesse. Proprio in quell’anno, nella città dove il Danubio diventa blu, tra tanti giovani in cerca di fortuna, giunge un artista squattrinato e mezzo fallito. Un artista che qualche anno dopo condizionerà le vite di entrambi i nostri protagonisti… ma non è ancora il momento di parlarne.

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L’inferno

Quando nella capitale bosniaca Gavrilo Princip, giovane nazionalista panserbo, uccide Francesco Ferdinando e consorte di fronte al municipio presso il quale la coppia reale era andata a protestare per avere subito, poco prima, un altro attentato, la reazione del mondo non è immediata. Sì, è stato un evento sanguinoso e grave, ma quanti monarchi sono già morti in quegli anni al grido di “Morte al Re, viva il regicida”, in giro per il Vecchio Continente? Anche noi italiani ne sappiamo qualcosa, visto che Gaetano Bresci, qualche anno prima, con una rivoltella ha ucciso Re Umberto I. L’evento di Sarajevo dà il via a un effetto domino devastante. L’Austria-Ungheria dichiara guerra alla Serbia, scatenando un circolo di alleanze che porterà uno sconvolgimento dell’Europa e del mondo intero. I nostri protagonisti vivono in maniera differente il dramma della guerra. Matthias è solo un ragazzino. Partecipa al conflitto tramite gli occhi del padre, spedito al fronte insieme a milioni di altri sudditi per difendere gli interessi dell’Impero Asburgico. Mentre il papà combatte, il piccolo Sindelar continua a giocare a pallone, e a farlo veramente molto bene. Si comincia a intravedere quello che Vittorio Pozzo, anni dopo, definirà il suo “passo di danza”. Finta di andare a destra, poi di botto via verso sinistra, con un eleganza degna di un valzer di Strauss. Una magnificenza tecnica che lo fa divenire per tutti “Il Mozart del calcio“.

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29 giugno 1914 Attentato Sarajevo

Cronaca di un mondo che fu

Mentre Stefan, nato proprio nella capitale il 28 novembre del 1881, si crogiola nell’agiatezza della sua condizione, intraprendendo di lì a poco svariati viaggi per l’Europa e l’Asia, a casa Sindelar si fatica ad andare avanti. Come molti immigrati boemi giunti a Vienna in cerca di lavoro, i genitori di Matthias si stabiliscono nel quartiere popolare e proletario di Favoriten; dove il padre, muratore, cerca di sbarcare il lunario. Il piccolo Matthias -mentre la propria famiglia combatte ogni giorno contro un nemico subdolo chiamato miseria- si diverte a giocare a calcio con i coetanei tra le strade di Favoriten, mostrando quasi subito il proprio talento. È rapido, scattante e tutti faticano a stargli dietro. Sembra uno di quei campioncini destinati a diventare grande. Del resto per un giovane di quella classe sociale giocare a pallone non è soltanto un divertimento, ma una delle poche possibilità di elevarsi socialmente. È un predestinato Matthias. Ma purtroppo, nelle storie come nella vita, nulla è mai semplice. 28 giugno del 1914. A Sarajevo un giovane serbo uccide l’erede al trono dell’Impero Austroungarico, patria dei nostri protagonisti; da quel momento il mondo cambia, e con esso le loro vite.

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Gavrilo Princip  (Wikipedia images)

Il destino contro

Ma, come spesso accade nella vita, quando sembri pronto a fare il grande salto succede sempre qualcosa di imprevisto. Il padre di Matthias muore sull’Isonzo quando lui ha ancora solo 14 anni. E ancora così giovane si ritrova a dover provvedere alla sua famiglia, composta dalla madre e da tre sorelle. Si arrangia da apprendista fabbro e da commesso, ma nonostante ciò termina gli studi e mai, mai, lascia il calcio. Continua a giocare, tra le strade di Favoriten, scalzo, perché ha un solo paio di scarpe che non può essere consumato. Ma col talento cristallino di sempre. E mentre Matthias prende a pugni una vita che lo vorrebbe ultimo tra gli ultimi, Stefan Zweig, ormai affermato intellettuale, fa la spola tra Vienna e la neutrale Svizzera, dove manifesta tutto il suo sdegno per la barbarie bellica. Sembra la fine del mondo, di quel mondo che fino al 27 giugno del 1914 sembrava essere all’apice del progresso. Altro non era che una malinconica illusione, come quando un amore apparentemente al massimo comincia ad appassire, per colpa di chi non si sa, e alla fine, improvvisamente, termina. La Bella Epoque è finita. Resta il sangue. Stefan rimarrà a Ginevra a discutere sui massimi sistemi insieme a James Joyce ed Hermann Hesse, amaramente consapevole che quella guerra che non stava combattendo aveva dissolto il mondo in cui aveva vissuto. Due storie distinte, quella di Stefan, che al fronte non visse neanche un giorno, e quella del padre di Matthias, che invece su quello stesso fronte perse la vita. Due storie tra le storie di una mattanza, alla quale intanto partecipava quell’artista fallito che nel 1906 giungeva a Vienna, nello stesso anno della famiglia Sindelar, con il ruolo di caporale.

La quiete dopo la tempesta

Per quanto può essere sconvolgente e traumatico un evento, l’unica cosa certa che può aiutare ad affrontarlo è che lo stesso, prima o poi, finirà. E così anche la notte che ha circondato il mondo per 4 anni ha lasciato spazio, nuovamente, alla luce. È l’11 novembre del 1918: le bocche dei cannoni smettono di vomitare piombo. Ma che Europa è quella che resta? Che pace è quella che rimane? Da un giorno all’altro i nostri protagonisti non sono più sudditi dell’Impero Austroungarico, semplicemente perché questo non esiste più. Adesso c’è solo l’Austria e c’è solo l’Ungheria. A Matthias, che ha solo 15 anni, non cambia più di tanto. Per lui c’è solo il lavoro e la famiglia. E il pallone, perché quello non si molla mai. E proprio quando meno se l’aspetta, tra le strade di Favoriten, qualcuno, finalmente, si accorge di lui.

Passo di danza (Vittorio Pozzo)

In alto verso le stelle

Si chiama Karl Weimann, fa l’insegnante, e porta finalmente Matthias via dalla strada, facendolo arrivare su un vero campo da calcio. Sono le giovanili dell’Herta Vienna, squadra il cui stadio si trova molto vicino a casa Sindelar, e dove Matthias ben presto fa parlare di sé. Non sembra costruito per giocare a pallone. È molto magro e i muscoli sono decisamente pochi, tanto che gli viene ben presto affibbiato il soprannome di “Der Papierene”, carta velina. Ma palla al piede è inarrestabile, e col gol si dà del tu. Nel 1921, a soli 18 anni, esordisce in prima squadra, e ne diviene subito un perno. Segna frotte di gol e regala assist ai compagni. È vittima di uno strano infortunio, lesionandosi il menisco cadendo in bagno. Torna tuttavia più forte di prima e con una fascia elastica al ginocchio che lo contraddistinguerà per il resto della carriera. E mentre Matthias fa le fortune dell’Herta, anche Stefan Zweig vive il suo periodo d’oro. Terminata la guerra si stabilisce a Salisburgo, e inizia a scrivere alcuni dei suoi capolavori, come “Angoscia”, “Notte Fantastica” o “Lettere a una sconosciuta”. Diviene addirittura l’autore più tradotto del suo tempo. Due stelle, quelle di Stefan e di Matthias, ormai troppo luminose per essere oscurate nel firmamento del successo.

Gli anni d’oro

Gli anni ’20 scorrono così tra le soddisfazioni più grandi. Sindelar passa all’Austria Vienna, squadra che dal suo arrivo in poi monopolizzerà il calcio austriaco e ed europeo, battendo più volte squadre leggendarie come l’Inter di Meazza, e aggiudicandosi i primi tornei continentali, tutti con Matthias illustre protagonista; Zweig continua a pubblicare un successo dietro l’altro, e la fama e la fortuna gli permettono di viaggiare sempre di più e di farsi conoscere in ogni angolo del globo. E mentre i nostri protagonisti imprimono a fuoco il loro nome nella storia, l’artista fallito divenuto caporale dell’esercito tedesco tenta anch’egli di lasciare la sua impronta. Ma non saranno gli anni ’20 quelli del suo successo, culminati anzi con un colpo di stato fallito e una reclusione in prigione. E come detto, per quanto bello o traumatico possa essere un periodo o un evento, una cosa sola è certa: avrà una fine.

Il golden boy e l’artista pazzo

Matthias Sindelar è diventato una delle prime star del football. Lo pagano per sponsorizzare dei prodotti e per partecipare agli eventi. La gente lo riconosce per strada e lo acclama allo stadio e sul campo, suo elemento naturale. La sua fama, insomma, lo precede: vince altre 3 coppe d’Austria e due coppe Mitropa, antenata dell’odierna Champions League con il club, e una coppa Internazionale con la maglia del proprio paese. Il suo fisico sta cambiando e comincia a non assisterlo più come vorrebbe. Pensa di trasferirsi in Italia, dove lo cercano la Triestina e il Bologna, ma rimane all’Austria Vienna. Troppo forte il legame con la squadra che lo aveva elevato a leggenda e con la città che l’aveva fatto diventare uomo. Ma non sta cambiando solo il suo fisico, cambia anche la situazione politica. E Stefan Zweig è parecchio preoccupato di ciò. Sì, perché quell’artista fallito divenuto in guerra caporale, uscito di prigione dopo il colpo di stato fallito, è diventato capo di un partito, quello Nazionalsocialista dei lavoratori, con slogan ed idee intolleranti e razziste, specie contro gli ebrei. Quell’uomo si chiama Adolf Hitler, e nel 1933 diventa cancelliere del Reich tedesco. E in uno dei primi atti dimostrativi di follia collettiva tipici del suo regime, brucia i libri degli scrittori non ritenuti idonei col nuovo pensiero dominante e non puri dal punto di vista razziale. Tra queste opere vi sono quelle di Stefan Zweig.

Verso l’apocalisse

Ma tant’è, quest’uomo è divenuto capo di una nazione vicina all’Austria, non può intaccare le vite dei nostri protagonisti. O almeno, non può fino al 1938. La Germania annette i propri vicini austriaci, l’Anschluss, ed ecco che le vite dei nostri protagonisti vengono drammaticamente a contatto fra di loro. Grazie o per colpa di un buono a nulla che aveva come sogno quello di diventare artista, come loro, ognuno asso del proprio campo. A causa dell’Anschluss la carriera di Matthias giunge al termine: il campionato austriaco viene annullato e reso dilettantistico, così da non permettere alle squadre ebree di parteciparvi. Lo stesso Sindelar, ebreo, è costretto dalle leggi razziali a non rivolgere più nemmeno la parola ad altri ebrei. Ma si rifiuta. Riguardo alla possibilità di non parlare più al presidente della propria squadra, anch’egli figlio di David, Matthias dice: «Io vorrò sempre dirle buongiorno ogni volta che avrò la fortuna di incontrarla». Sindelar, nonostante la sua professione religiosa, viene inizialmente risparmiato dal regime. È un personaggio troppo in vista per essere perseguitato, e poi la sua fama può tornare utile ai nazisti per farsi pubblicità.

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La partita della vita

Nei programmi tedeschi c’è inoltre quello di convocare lui e i suoi forti compagni tra le file della nuova nazionale del Reich, così che questa possa competere al top ai Mondiali di Francia, che poi vinceremo noi italiani. Viene organizzata una partita, detta “della riunificazione”, tra la compagine nazista e la selezione austriaca. I gerarchi non vogliono che l’Austria, politicamente ormai non più esistente, giochi sotto questo nome e con la propria divisa, ma Sindelar, ormai giocatore part-time, insiste, e ottiene che lui e i propri compagni possano indossare il vessillo nazionale, a una condizione: perdere la partita. Questo, però, non accadrà. Matthias, ormai più barista che calciatore (aveva acquisito la gestione di un bar nel suo vecchio quartiere) regala al pubblico la prestazione più incredibile della sua carriera. Irride i tedeschi, li dribbla a più non posso, arriva davanti la porta e sbaglia di proposito, fino al minuto 70, quando decide finalmente di metterla dentro. Va a esultare sotto la tribuna centrale, gremita di gerarchi, e a fine partita, vinta 2-0, quando tutti i giocatori sono obbligati a rivolgere il saluto nazista alla gradinata, si rifiuta.

Vite immortali

Non sarà l’ultimo rifiuto di Sindelar, che poco dopo non risponderà alla convocazione della nazionale tedesca per i Mondiali, adducendo a motivo l’infortunio al ginocchio patito da ragazzo. Mentre Matthias si prende gioco dei nazisti, Stefan Zweig è costretto all’esilio. Fugge prima a Londra, poi a New York. Lo sconforto che prova nel rivedere il mondo precipitare ancora nella barbarie della guerra lo spinge a scrivere uno dei suoi ultimi capolavori, “Il mondo di ieri”. Manifesto antibellico di un intellettuale troppo fine. Talmente fine da preferire la morte alla vita in questo mondo. Si suicida a Petropolis, in Brasile, insieme alla compagna. Nell’ultima lettera ritrovata accanto al cadavere, scrive: «Saluto tutti i miei amici! Che dopo questa lunga notte possano vedere l’alba! Io che sono troppo impaziente, li precedo». È il 1941, e Matthias Sindelar, ormai divenuto nemico del regime, è morto già da due anni. Una fuga di gas l’ha tolto da questo mondo, anche lui insieme alla propria compagna. Una morte mai chiarita del tutto, che i più romantici vogliono essere un suicidio di protesta contro il Terzo Reich. Proprio come Stefan. Due uomini così lontani eppure così vicini, le cui vite sono state complicate da un pazzo, anche lui morto suicida. Due uomini che hanno preferito morire per degli ideali piuttosto che vivere da schiavi.

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